martedì 24 febbraio 2009

La legge delle cinture rosse

Milano, discoteca Parenthesis, 24 febbraio 2009. All’interno una festa di compleanno. Una cinquantina di ragazzi, tutti cinesi. All’1 e 30 nessuno fa caso che dieci giovanotti con gli occhi a mandorla sono entrati una alla volta. All’improvviso s’infilano i cappucci, tirano fuori mannaie e pugnali e si lanciano urlando verso un gruppo di connazionali.
Come delle furie sferrano fendenti alla testa, al tronco e alle gambe. Hu Libin, di 22 anni, muore in un lago di sangue. Altri cinque rimangono feriti con profondi squarci su tutto il corpo.

E’ la legge dei gangster in erba di Chinatown. All’estero, come in Italia, bande di ventenni regolano a colpi di lama (o a suon di proiettili) i loro affari: estorsioni, droga, controllo del territorio. Spesso sono la manodopera utilizzata dai boss per esercitare il loro potere intimidatorio. Si tratta di gang composte da giovanissimi, spesso minori di 18 anni. Ogni affiliato alla banda ha legami di origine geografica, cioè dalla città di nascita, con gli altri componenti. E ciascun gruppo quasi sempre ha un segno distintivo: un tatuaggio, un ciuffo dei capelli colorato o una cintura rossa. Un’identità interna molto forte che conduce a faide e scontri violenti.

Ma non è soltanto una questione tra ragazzini: «A capo di ciascun gruppo – fa sapere la Direzione nazionale antimafia – vi è un adulto, che coordina la loro azione e che tiene i collegamenti con bande di altre regioni». E «nei momenti di crisi di una gang (per esempio a seguito di arresti) confluiscono in ausilio elementi di altri gruppi provenienti da altre città. I collegamenti sul territorio nazionale sono dunque molto forti – spiega ancora la relazione della Dna – e questo, unitamente al fatto che sono bande che si spostano continuamente e anche i singoli componenti non hanno fissa dimora pur risiedendo presso i genitori, e che sono soliti scambiarsi telefoni cellulari e schede, rende le indagini estremamente problematiche».


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