mercoledì 25 maggio 2011

Primo comandamento:
mai perdere la faccia

Un cinese di rispetto non può perdere l'onore. "Salvare la faccia" per chi appartiene a una famiglia malavitosa è un comandamento inderogabile.

E se qualcuno sgarra, se qualcuno mette in discussione il mianzi non può passarla liscia. L'offesa non può passare inosservata: la vendetta laverà l'onta subita. Col rischio, poi, d'innescare un'escalation di ritorsioni senza fine.

Ecco, per esempio, cosa scoprono gli investigatori quando intercettano un cinese, picchiato per aver danneggiato a Milano un locale di proprietà di un connazionale che con lui era stato "arrogante".

“Mi hanno umiliato! [dice al telefono a suo cognato] Hai capito?! Tutti
quelli di Parigi [il gruppo di suoi conoscenti e sodali dal quale lo stesso
proveniva prima di giungere in Toscana] lo hanno saputo, sono andati a
Milano raccontando ai miei amici che mi hanno sequestrato e picchiato.
Dico che era meglio se mi davano qualche coltellata, allora ammettevo la
loro potenzialità
, ma non mi hanno neanche picchiato e hanno telefonato
a tutti, non riesco più a sopportarlo perché tutti mi vengono a chiedere:
‘A.H. sei stato sequestrato e picchiato?’ non riesco più a sopportare
questa cosa….Ho intenzione con D.N. [la persona che gli ha procurato
una pistola] di farli fuori tutti [ovvero le otto persone responsabili
dell’aggressione], domani o domani l’altro”.
[Il cognato, un certo A., gli ricorda che fare] “così è troppo
avventato…sequestra le persone.
W.: Sequestrare le persone? No, ci sono difficili intrecci di rapporti
d’amici, mi dicono di chiudere il caso con un colpo solo….
A.: Se li sequestri ti salveresti la faccia ugualmente.
W.: Poi tutti vogliono salvarsi la faccia.
A.: Ma se li sequestri e gli fai tirare fuori la cosa…
W.: Sono intenzionato a….
A.: Se riesci a prendere i soldi ogni tua faccia è stata salvata.
W.: Non mi preoccupo per i soldi […] io non voglio i soldi, non riesco a
sopportare l’offesa, non per i soldi. Loro lo sapevano chiaramente, quel
giorno [del pestaggio] c’era G., lo conosci no?! Mi ha chiesto se A.
[ovvero la persona con la quale sta dialogando] era mia cognato e se
venivo da Parigi e poi mi ha chiesto se conoscevo H., e io ho detto che
H. era mio amico-fratello, loro nonostante lo sapessero non mi hanno
lasciato nessuna faccia e mi hanno ugualmente picchiato, io dico così: se
mi picchiavano e non dicevano niente, allora lasciavo stare, ma sti
bastardi sono andati a raccontare tutto”

giovedì 19 maggio 2011

Buste rosse, pace fatta

I conflitti tra le gang di Chinatown si sbrogliano grazie all'intervento di un boss. Un capo di una certa levatura, non uno qualsiasi. Uno, insomma, in grado di fare da mediatore, da paciere, grazie alla sua statura criminale e alle sue doti "diplomatiche". E' quanto accaduto, per esempio, tra Firenze e Prato. Un primo gruppo criminale cinese, proveniente dalla Francia per sfuggire ai provvedimenti giudiziari di quel paese, era entrato in contrasto, per rivalità legate il controllo del mercato degli stupefacenti, con alcuni elementi criminali dell’area fiorentina.

Da qui ebbe luogo nel 2003 uno scontro all’interno di un locale di Prato che portò successivamente a una ricomposizione fra i rivali grazie “all’intervento di un soggetto cinese residente a Roma che, dopo aver organizzato un summit pacificatore
presso il ristorante […] di Prato alla presenza di una ‘commissione di 54
anziani’, avrebbe fatto in modo che i due gruppi (il ‘francese’ e quello di
Firenze) avessero da allora in poi collaborato.

L’accordo era stato fatto seguendo un preciso cerimoniale in uso nella comunità, ovvero lo scambio reciproco di buste rosse contenenti denaro, in segno di scuse.

mercoledì 18 maggio 2011

Le mille teste della mafia cinese

Un collaboratore di giustizia cinese conferma l'inesistenza di unico capo della mafia d'Oriente in Italia. Il sistema criminale cinese, infatti, non ha una struttura come quella di Cosa Nostra, con una cupola e un boss dei boss. Piuttosto somiglia alla 'Ndrangheta: tante cellule, tanti gruppi, tante famiglie che fra di loro tessono amicizie e danno luogo a conflitti.

Ecco cosa racconta il nostro pentito a proposito delle relazioni fra i boss delle tante Chinatown.

“In Italia non c’è un’unica organizzazione criminale cinese. Ci sono gruppi dislocati sul territorio nazionale. Ogni gruppo ha un capo. I capi tra di loro si conoscono, perché sono amici per cui capita anche che si incontrino fra di loro o perché si è creato un contrasto tra i singoli gruppi e occorre, quindi, trovare una soluzione o perché si deve realizzare una qualche azione illecita che un singolo gruppo da solo non è in grado di sostenere, per cui chiede supporto ad altri […]".

"Quando i capi si incontrano tra di loro, nessuno degli affiliati può partecipare alla riunione. Dico questo perché spesso è capitato che ero in compagnia di W. [il capo del suo gruppo] quando questi si doveva incontrare con altri capi, per cui mi sono dovuto allontanare e loro si sono appartati”.