domenica 26 ottobre 2008

Un bidone dagli occhi a mandorla

Dentro al Cinamercato di Napoli. Quattordicimila metri quadrati. Un alveare di microbox con un omino sorridente e gli occhi a mandorla. L'altarino elettrico per Mao. Il karaoke sulla tv sintonizzata su Hong Kong. Magliette, pantaloni, camicie, cappellini, calze, creme per il visto, dentifrici, saponi, finto viagra, latte in barattoli di latta. Due milioni di roba. Sequestrata. Era entrata in Italia dal porto di Napoli. Di contrabbando. E poi: borse, cinture, giubbotti. Di pelle. Sequestrati. Erano arrivati in Italia con navi container. Di contrabbando. Valore: dodici milioni di euro. Tasse, imposte e balzelli evasi: 2,5 milioni di euro. Chi ha inventato il Cinamercato? Song Zichai. Viene dalla Manciuria, nord della Cina. E' arrivato in Italia oltre dieci anni fa. Con un mandato di cattura internazionale sulla testa. Pechino lo rivuole indietro per una truffa milionaria. Se lo rispediscono da dove è venuto rischia di non uscire di carcere. Rischia persino la pena di morte. Quindi, Song non l'hanno fatto partire. E che fa? Prima diventa caporedattore di un giornale cinese stampato a Roma. Dove frequenta gli ambienti che contano: quelli diplomatici. Poi si mette in testa di seminare centri commerciali per tutt'Italia: Cinamercato. Song prende un capannone, ci mette su l'insegna e poi affitta lo spazio interno ai cinesi: loro pagano, lui incassa. A Napoli va bene. E così compra anche una squadra di calcio: la Palmese. Peccato che non paghi gli stipendi ai giocatori e la squadra fallisce. Organizza una festa. Dice: allo stadio con Maradona e Gigi D'Alesio. Che non ne sanno nulla. E la festa non si fa. Ci riprova con un altro Cinamercato. A Muggiò, vicino a Milano. Si mette in testa di trasformare un cinema multisala in un nuovo bazar. Se ne frega delle licenze che non ci sono e lo inaugura con tanto di dragoni di cartapesta e fuochi d'artificio. I cinesi tirano fuori i soldi per affittare i microbox e Song incassa. Poi il comune chiude tutto perché abusivo. I cinesi che hanno pagato s'incazzano e cercano di dargli una ripassata. Song fugge. Non si sa più dove sia. Lo cercano in tanti, adesso. Anche quelli della procura di Monza. L'accusa: Song avrebbe riciclato denaro della 'Ndrangheta. [La storia continua... su I Boss di Chinatown]

sabato 4 ottobre 2008

Gli amici degli amici


Ogni chinatown pullula di associazioni. Sono delle specie di circoli, che mettono insieme cinesi espatriati e provenienti dalla stessa regione o città. Tra gli scopi di questi club c’è quello di tutelare i compaesani anche nei confronti delle autorità diplomatiche cinesi. Ma anche, come si legge nelle relazioni della procura antimafia, «migliorare i rapporti con le autorità del paese ospitante». Queste specie di sindacati, inoltre, assicurano autonomia culturale alla comunità e permettono di «esercitare un rigido controllo sulla vita economica e sociale». E consentono «di acquisire le attività economiche dei quartieri e di espellere i residenti fino alla costituzione di vere e proprie enclave». E poiché nel tempo alcune di queste lobby si sono rivelate piuttosto efficaci nel tessere rapporti sia con le istituzioni italiane che con quelle di Pechino, sono state più volte oggetto dell’attenzione dei gruppi mafiosi. D'altra parte, uno degli interessi dei boss di chinatown è quello di stringere interessi con le autorità politiche. E non solo quelle diplomatiche, anche con quelle italiane. E' questa, in fondo, una delle strategie delle organizzazioni criminali più evolute. Come Cosa Nostra, anche la mafia cinese cerca di ottenere vantaggi (e restituire favori) a chi detiene il potere. Avere solidi legami con chi siede sulle poltrone giuste e frequenta la stanza dei bottoni è motivo di vanto ed esibizione di forza. Qualche anno fa, durante un controllo all'aeroporto di Roma, un cinese di rispetto venne fermato dalla polizia prima che prendesse il volo per l'Oriente. Addosso gli venne trovata una fotografia che lo ritraeva nel suo ristorante al fianco dell'allora presidente del Consiglio italiano. Alla domanda degli investigatori sul perché portasse quella foto in Cina, rispose: "Così potrà far vedere quanto sono diventato importante". Quando, infatti, tornano nel loro paese, i vari rappresentanti delle associazioni di cinesi all'estero si riuniscono in una sorte di conclave. Una specie di parlamento delle Chinatown disseminate nei cinque continenti che, poi, delibera decisioni e rivendicazioni da portare sul tavolo del governo di Pechino, che è piuttosto sensibile alle richieste dei figli espatriati. Una prova? Quando nella primavera del 2007 scoppiò la rivolta cinese a Milano, il console generale prese una chiara posizione a difesa dei suoi connazionali. E analoga posizione la prese il ministero degli Esteri cinese, che chiese all'Italia «equilibrio» nel risolvere i problemi, affinché fossero tutelate «le esigenze ragionevoli dei cinesi residenti all’estero» e assicurata «la piena salvaguardia dei loro diritti».