domenica 24 maggio 2009

O' Cinese in manette

Alla fine, per Song Zichai, sono scattate le manette. L’accusa: truffa ed estorsione ai danni di 150 commercianti cinesi attirati dal sogno (poi diventato incubo) di un faraonico centro commerciale a Muggiò, in un ex cinema, a due passi da Milano.

Il mancese (noto anche come Song Zhicai o Song Jiang) è stato arrestato a Napoli, dove anni fa ha allestito il Cinamercato più famoso d’Italia. E dove si è fatto notare per una serie di spericolate operazioni finanziarie. Da quelle parti lo chiamano O’ Cinese. E lo trattano con rispetto. In Brianza, invece, i suoi connazionali volevano fargli la pelle, perché l’ipermercato era senza autorizzazioni ed è stato chiuso. E adesso, qualcuno di loro racconta che Song affittava gli stand (fino a 60 mila euro), e chi non pagava riceveva pesanti minacce.

Ancora da accertare, invece, i presunti contatti di Zichai con la ‘Ndrangheta. Intanto, sono stati arrestati per bancarotta fraudolenta tre amministratori della Tornado Gest, la società che aveva realizzato il cinema poi riempito di negozi made in China e che nel 2007 è sprofondata in un buco di 50 milioni di euro.

Guerra tra gang, killer in Olanda

L’ultimo l’hanno preso nei Paesi Bassi, a mille chilometri di distanza dal luogo dell’assalto. Il decimo componente della gang cinese che il 24 febbraio 2009 è piombato all’interno della discoteca Parenthesis di Milano per regolare i conti con una banda rivale è stato arrestato il 19 maggio.

La polizia olandese l’ha trovato in compagnia di un coltello e di un bel po’ di droga. E secondo gli inquirenti sarebbe stato lui a sferrare la pugnalata che ha ucciso Hu Libin, il 22enne morto nell’assalto causato, probabilmente, da dissidi sulla gestione dello spaccio della ketamina.

Gli altri nove del commando nei mesi precedenti erano stati presi tra Milano, Albenga e Alba Adriatica. Ma la cattura del presunto assassino in Olanda è la conferma della formidabile rete di amicizie e coperture che il crimine asiatico è riuscita a tessere.

Non è raro, infatti, che i boss cinesi assoldino killer connazionali fuori dai confini italiani o, comunque, lontano dalle città dove l’esecuzione deve avvenire. Esistono stretti collegamenti tra famiglie malavitose che vivono a Roma o a Milano con altre che si trovano a Parigi o ad Amsterdam. Le frontiere, per la mafia asiatica, sono solo dei segni di matita tracciati su un foglio di carta.

mercoledì 1 aprile 2009

Lucciole di Spagna

Mangiano e dormono nello stesso appartamento dove sono costrette a prostituirsi, così sono disponibili ventiquattro ore su ventiquattro per i clienti. Massima flessibilità e dedizione al lavoro. I ritmi sono quelli da schiavitù alla quale ci ha abituato la mafia d’Oriente. E così nei circa sessanta casini gestiti dai boss della chinatown di Barcellona, si applicano anche tariffe differenziate: se la ragazza dagli occhi a mandorla finisce tra le mani di uno spagnolo si pagano cinquanta euro; al connazionale, invece, si fa lo sconto.

La polizia catalana calcola che sono circa trecento le donne cinesi sfruttate a Barcellona. E secondo il quotidiano El Periodico, i locali a luci rosse gestiti dalla mala asiatica sono concentrati soprattutto nel quartiere dell’Eixample, per non parlare dei “centri massaggi” spesso inclini a prestazioni supplementari e alle case d’appuntamento riservate agli immigrati cinesi.

Un sistema difficile da smantellare perché le persone che mettono gli annunci per i clienti, quelle che affittano i locali e le “madame” che mandano avanti i bordelli non sono mai le stesse persone. Ma quello che inquieta di più gli investigatori è che dietro alla prostituzione c’è un’organizzazione ben strutturata. Che, ovviamente, non si limita al giro di squillo.

Le forze dell’ordine hanno individuato tre grandi famiglie che operano anche nel campo delle estorsioni, della contraffazione e dell’usura. Ma, soprattutto, nel traffico di essere umani. Migliaia di euro pagati ai clan per arrivare in Spagna e poi, una volta giunti a destinazione, trovare un lavoro. Una rete illegale che spesso nasconde scenari da riduzione in schiavitù che in qualche caso ha coinvolto anche cittadini spagnoli. Come nel caso di un imprenditore di Girona che ha impiegato uomini e donne cinesi nella sua azienda per più di due mesi. La paga? Quaranta euro per dodici ore di lavoro al giorno.