venerdì 25 luglio 2008

Camorra cinese all'Esquilino

L'inchiesta "Grande Muraglia", guidata dai carabinieri, è arrivata a un primo traguardo: sette arresti e la certezza che il clan camorrista dei Giuliano era entrato in affari con la mafia cinese in Italia. Nel libro "I Boss di Chinatown" erano stati anticipati alcuni elementi dell'indagine; altri particolari erano stati taciuti proprio perché l'inchiesta era in corso.
In ogni caso, il quadro era già abbastanza chiaro: un grosso imprenditore cinese che da anni si trova nel nostro paese e che ha costruito un impero economico molto solido ha stretto un patto d'acciaio con i referenti romani dei clan storici della camorra napoletana. Quest'uomo d'affari asiatico, in rapporti con gli ambienti diplomatici cinesi, adesso è indagato.

A togliere il velo sul connubbio è stato il collaboratore di giustizia Salvatore Giuliano, storico camorrista della famiglia di Forcella. Grazie alle sue dichiarazioni, si è scoperto che italiani e cinesi avevano creato una società nel quartiere Esquilino di Roma per reinvestire i soldi ricavati dalla vendita della merce contraffatta importata dalla Cina. I quattrini venivano poi utilizzati per comprare appartamenti e negozi nella chinatown della Capitale.


In particolare, Giuliano ha descritto agli inquirenti il meccanismo con il quale la camorra controllava il mercato delle griffe contraffatte. Migliaia di capi d'abbigliamento arrivavano nel porto di Napoli e quindi veniva stoccati in grandi capannoni della zona vesuviana e a Martinafranca, in Puglia, per poi essere trasferita in alcuni magazzini di Cassino. Solo in una seconda fase la merce giungeva a Roma dove veniva imposta ai commercianti dell'Esquilino, sia cinesi che italiani.


L'attività del clan poi proseguiva con i referenti romani, che svolgevano una vera e propria attività di intermediazione immobiliare gestendo alcune società e imponendo ai cinesi l'affitto o la locazione di negozi o appartamenti. I proventi venivano reinvestiti in bar, ristoranti e concessionarie d'auto: durante l'operazione sono stati sequestrati tre autosaloni a Cassino, una a Napoli e una a Bologna, nonché un noto ristorante sempre a Cassino.

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