giovedì 19 maggio 2011

Buste rosse, pace fatta

I conflitti tra le gang di Chinatown si sbrogliano grazie all'intervento di un boss. Un capo di una certa levatura, non uno qualsiasi. Uno, insomma, in grado di fare da mediatore, da paciere, grazie alla sua statura criminale e alle sue doti "diplomatiche". E' quanto accaduto, per esempio, tra Firenze e Prato. Un primo gruppo criminale cinese, proveniente dalla Francia per sfuggire ai provvedimenti giudiziari di quel paese, era entrato in contrasto, per rivalità legate il controllo del mercato degli stupefacenti, con alcuni elementi criminali dell’area fiorentina.

Da qui ebbe luogo nel 2003 uno scontro all’interno di un locale di Prato che portò successivamente a una ricomposizione fra i rivali grazie “all’intervento di un soggetto cinese residente a Roma che, dopo aver organizzato un summit pacificatore
presso il ristorante […] di Prato alla presenza di una ‘commissione di 54
anziani’, avrebbe fatto in modo che i due gruppi (il ‘francese’ e quello di
Firenze) avessero da allora in poi collaborato.

L’accordo era stato fatto seguendo un preciso cerimoniale in uso nella comunità, ovvero lo scambio reciproco di buste rosse contenenti denaro, in segno di scuse.

mercoledì 18 maggio 2011

Le mille teste della mafia cinese

Un collaboratore di giustizia cinese conferma l'inesistenza di unico capo della mafia d'Oriente in Italia. Il sistema criminale cinese, infatti, non ha una struttura come quella di Cosa Nostra, con una cupola e un boss dei boss. Piuttosto somiglia alla 'Ndrangheta: tante cellule, tanti gruppi, tante famiglie che fra di loro tessono amicizie e danno luogo a conflitti.

Ecco cosa racconta il nostro pentito a proposito delle relazioni fra i boss delle tante Chinatown.

“In Italia non c’è un’unica organizzazione criminale cinese. Ci sono gruppi dislocati sul territorio nazionale. Ogni gruppo ha un capo. I capi tra di loro si conoscono, perché sono amici per cui capita anche che si incontrino fra di loro o perché si è creato un contrasto tra i singoli gruppi e occorre, quindi, trovare una soluzione o perché si deve realizzare una qualche azione illecita che un singolo gruppo da solo non è in grado di sostenere, per cui chiede supporto ad altri […]".

"Quando i capi si incontrano tra di loro, nessuno degli affiliati può partecipare alla riunione. Dico questo perché spesso è capitato che ero in compagnia di W. [il capo del suo gruppo] quando questi si doveva incontrare con altri capi, per cui mi sono dovuto allontanare e loro si sono appartati”.

martedì 7 dicembre 2010

Satanasso di un boss

Blitz dei carabinieri contro la mafia cinese nella Chinatown pratese: è di 16 arresti il bilancio dell'operazione Satana. Il blitz è scattato nella notte tra sabato 5 e domenica 6 dicembre, circa 70 carabinieri del comando provinciale di Prato con l'aiuto dei militari del sesto Battaglione Toscana e di Montebelluna, hanno eseguito 16 delle 19 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del Tribunale di Firenze su proposta della Dda del capoluogo. I destinatari delle ordinanze sono tutti cinesi e i reati contestati, legati dal vincolo di associazione di tipo mafioso, rapine, estorsioni, usura, esercizio abusivo dell'attività finanziaria, sequestro di persona a scopo di estorsione, spaccio di sostanze stupefacenti. E' la prima volta sottolineano i carabinieri - che a Prato vengono eseguite ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di soggetti cino-popolari ritenuti appartenenti a sodalizio criminale di tipo mafioso.

L'indagine parte nel 2009 e i militari hanno scoperto una vera e propria associazione di tipo mafioso, costituita da un gruppo di cinesi domiciliati a Prato, originari dello Zhejiang e del Fujian. Più di cinquanta persone fra affiliati, gregari e fiancheggiatori, in una banda armata - pistole, coltelli e machete - che, con rapine, estorsioni, usura, sequestri, spaccio era arrivata a controllare nella comunità cinese di Prato sia le attività commerciali regolari che quelle sommerse.

Al vertice dell'associazione, un 35enne, conosciuto sotto il nome d "Anu", leader indiscusso rispettato e temuto, schivo, imponeva assoluta obbedienza. Il compito di diramare le sue direttive ai ranghi inferiori erano affidati a due fidati luogotenenti Agen e Xigei, mentre una donna Anian aveva il ruolo centrale di contabile, teneva infatti il quaderno dei conti con le uscite e le entrate della bisca, i prestiti e gli scadenzari dei debiti.

Al livello più basso vi era poi il "braccio armato". E sotto la sua guida l'organizzazione imponeva con minacce e violente ritorsioni il pizzo nella Chinatown pratese, usando la stessa violenza contro gruppi rivali: fino ad arrivare a creare un clima di terrore e di totale omertà, per cui le vittime non denunciavano alle forze dell'ordine. Il quartiere orientale è infatti un grande mercato dove, accanto ad esercizi legali, vivono anche numerosi "bottegai": privi di licenza praticano massaggi, fanno i parucchieri, vendono merce di tutti i tipi, fanno i tassisti utilizzando la propria vettura, gestiscono case di prostituzione, cuciono per conto terzi in condizioni precarie, fanno di un appartamento un "affittacamere", esercitano professioni medico-specialistiche in assenza dei necessari titoli (tra cui la pratica di aborti illegali), assumono clandestini e cercano di tenersi alla larga dagli italiani.

Preso atto del potere di Anu e dei suoi, gli abitanti di "Chinatown" hanno presto 'accettato' di pagare il 'dazio'. La "base operativa" del gruppo una villetta bifamiliare con annessa una bisca clandestina, gestita in prima persona dal Capo, e molto fruttuosa. La "direzione" della "casa da gioco" concedeva anche prestiti, ovviamente usurai con interessi giornalieri pari all'1% della cifra originaria. Per chi non pagava, minacce, riscossioni coattive, atti di violenza o rapimenti fino a dover cedere negozi.
(fonte: ApCom)