martedì 7 dicembre 2010

Satanasso di un boss

Blitz dei carabinieri contro la mafia cinese nella Chinatown pratese: è di 16 arresti il bilancio dell'operazione Satana. Il blitz è scattato nella notte tra sabato 5 e domenica 6 dicembre, circa 70 carabinieri del comando provinciale di Prato con l'aiuto dei militari del sesto Battaglione Toscana e di Montebelluna, hanno eseguito 16 delle 19 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del Tribunale di Firenze su proposta della Dda del capoluogo. I destinatari delle ordinanze sono tutti cinesi e i reati contestati, legati dal vincolo di associazione di tipo mafioso, rapine, estorsioni, usura, esercizio abusivo dell'attività finanziaria, sequestro di persona a scopo di estorsione, spaccio di sostanze stupefacenti. E' la prima volta sottolineano i carabinieri - che a Prato vengono eseguite ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di soggetti cino-popolari ritenuti appartenenti a sodalizio criminale di tipo mafioso.

L'indagine parte nel 2009 e i militari hanno scoperto una vera e propria associazione di tipo mafioso, costituita da un gruppo di cinesi domiciliati a Prato, originari dello Zhejiang e del Fujian. Più di cinquanta persone fra affiliati, gregari e fiancheggiatori, in una banda armata - pistole, coltelli e machete - che, con rapine, estorsioni, usura, sequestri, spaccio era arrivata a controllare nella comunità cinese di Prato sia le attività commerciali regolari che quelle sommerse.

Al vertice dell'associazione, un 35enne, conosciuto sotto il nome d "Anu", leader indiscusso rispettato e temuto, schivo, imponeva assoluta obbedienza. Il compito di diramare le sue direttive ai ranghi inferiori erano affidati a due fidati luogotenenti Agen e Xigei, mentre una donna Anian aveva il ruolo centrale di contabile, teneva infatti il quaderno dei conti con le uscite e le entrate della bisca, i prestiti e gli scadenzari dei debiti.

Al livello più basso vi era poi il "braccio armato". E sotto la sua guida l'organizzazione imponeva con minacce e violente ritorsioni il pizzo nella Chinatown pratese, usando la stessa violenza contro gruppi rivali: fino ad arrivare a creare un clima di terrore e di totale omertà, per cui le vittime non denunciavano alle forze dell'ordine. Il quartiere orientale è infatti un grande mercato dove, accanto ad esercizi legali, vivono anche numerosi "bottegai": privi di licenza praticano massaggi, fanno i parucchieri, vendono merce di tutti i tipi, fanno i tassisti utilizzando la propria vettura, gestiscono case di prostituzione, cuciono per conto terzi in condizioni precarie, fanno di un appartamento un "affittacamere", esercitano professioni medico-specialistiche in assenza dei necessari titoli (tra cui la pratica di aborti illegali), assumono clandestini e cercano di tenersi alla larga dagli italiani.

Preso atto del potere di Anu e dei suoi, gli abitanti di "Chinatown" hanno presto 'accettato' di pagare il 'dazio'. La "base operativa" del gruppo una villetta bifamiliare con annessa una bisca clandestina, gestita in prima persona dal Capo, e molto fruttuosa. La "direzione" della "casa da gioco" concedeva anche prestiti, ovviamente usurai con interessi giornalieri pari all'1% della cifra originaria. Per chi non pagava, minacce, riscossioni coattive, atti di violenza o rapimenti fino a dover cedere negozi.
(fonte: ApCom)

martedì 29 giugno 2010

Money, money, money

Le mani della mafia dell’Estremo Oriente sul riciclaggio di denaro, attraverso una rete di agenzie di trasferimento di contanti che ha ripulito 2,7 miliardi di euro. Ventiquattro arrestati: 17 sono cinesi, gli altri italiani. In totale, 134 indagati. E fra loro alcuni imparentati o collegati con personaggi finiti nelle prime inchieste contro la mafia cinese in Italia raccontate nel libro “I Boss di Chinatown”. Ecco il comunicato integrale del 28 giugno 2010 della Guardia di Finanza

Dalle prime ore di questa mattina oltre 1.000 uomini delle Fiamme Gialle di tutto il Comando Regionale Toscana stanno eseguendo arresti, perquisizioni e sequestri di beni perquisizioni e sequestri di beni immobili, auto di lusso quote societarie e denaro contante in 8 Regioni d’Italia (Toscana, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Sicilia) nei confronti di un’associazione a delinquere composta da cittadini cinesi ed italiani, dedita al riciclaggio di denaro di illecita provenienza, mediante una rete di agenzie di “money transfer”. Le ordinanze di custodia cautelare (22 in carcere e 2 domiciliari) sono state emesse dal GIP del Tribunale Ordinario di Firenze – dott. Michele BARILLARO – su proposta del PM – dott. Pietro SUCHAN. Oltre 100 le aziende coinvolte, tutte riconducibili ad operatori di nazionalità cinese ed ubicati tra le Provincie di Firenze e Prato.

I reati contestati sono l’associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al riciclaggio di proventi illeciti derivanti dai seguenti reati:

- contraffazione, frode in commercio e vendita di prodotti industriali con segni mendaci o in violazione delle norme a tutela del “Made in Italy”;

- evasione fiscale;

- favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza nel territorio dello Stato di cittadini cinesi clandestini per il successivo sfruttamento nell’impiego al lavoro;

- sfruttamento della prostituzione;

- ricettazione.

Tra gli arrestati 17 sono cittadini cinesi e 7 sono cittadini italiani (per 2 di essi sono state previste la custodia cautelare domiciliare).

Nei confronti di 108 soggetti indagati (quasi tutti imprenditori) sono state eseguite misure cautelari reali con il sequestro di beni (immobili, auto di lusso, quote societarie, denaro contante) profitto dei reati oggetto di riciclaggio.

Dal 2006 ad oggi sono stati riciclati oltre 2,7 miliardi di euro.

Le indagini sono iniziate nel 2008 allorquando le Fiamme Gialle del Nucleo di Polizia Tributaria di Firenze hanno individuato un sodalizio criminale composto da:

- una famiglia cinese, originaria della provincia di Hubei (ubicata nel centro della Repubblica Popolare Cinese): CAI Jianhan, padre, 63 anni residente a Milano, e 2 figli, CAI Cheng Chun, 41 anni residente a Padova, e CAI Cheng Qui, 37 anni residente a Milano;

- una famiglia italiana, composta da 2 fratelli bolognesi: BOLZONARO Fabrizio, nato a Bologna, 43 anni, residente a S. Lazzaro (BO), e BOLZONARO Andrea, nato a Bologna, 43 anni, residente a Pianoro (BO), nonché dal padre B. L., nato a Malalbergo (BO), 66 anni, residente a San Lazzaro (BO).

L’attività criminosa della famiglia cinese è iniziata nel 2006 quando hanno acquisito una partecipazione della società di “money transfert” – MONEY2MONEY Srl- con sede legale in Bologna e sub-agenzie sparse su tutto il territorio nazionale. L’ingresso nella società è avvenuta mediante un prestanome, una giovane donna che svolgeva le pulizie presso l’abilitazione della famiglia cinese. L’entrata nella compagine sociale di cittadini cinesi ha determinato un’improvvisa ed esponenziale crescita della raccolta di denaro da trasferire in Cina. Le rimesse erano effettuate sia da imprenditori che da privati.

La “Money2Money Srl” era stata fondata dalla famiglia Bolzonaro che, una volta entrata nell’orbita dei soggetti cinesi, hanno messo a disposizione dell’organizzazione criminale la propria conoscenza del settore, controllando l’operato di ogni sub agenzia e risolvendo eventuali problematiche nel trasferimento del denaro.

L’attività illecita si è sviluppata con le caratteristiche mafiose. La struttura verticistica, che faceva capo alla famiglia CAI, controllava, con forme di intimidazioni psicologiche ed a volte violente, le attività illecite della comunità cinese su tutto il territorio ove la stessa è risultata più presente. Alcuni esponenti e soggetti collegati alla famiglia CAI risultano indagati e condannati nel contesto di differenti procedimenti penali seguiti dalla Procura di Firenze (Vgs. “Operazione Ramo d’Oriente” e “Operazione Gladioli Rossi”).

La società MONEY2MONEY, tramite le filiali di Prato, Sesto Fiorentino, Empoli, Milano, Roma, Napoli, è servita per operare il riciclaggio del denaro “sporco” proveniente dalle diverse attività economiche illegali commesse dalla numerose imprese cinesi presenti nelle Provincie di Firenze e Prato.

Per far perdere le tracce della provenienza illecita del denaro e per ostacolare l’individuazione dei soggetti titolari dei proventi, la somma complessiva era frazionata in migliaia di tranches di € 1.999,99 (il limite massimo consentito per ogni singolo trasferimento è € 2.000), la cui titolarità era attribuita a soggetti compiacenti o, il più delle volte, a persone ignare o addirittura inesistenti. Il costo per le imprese depositanti era di 15/17 euro per ogni singolo trasferimento. Il costo del documento di un soggetto a cui intestare il bonifico era di € 5. Naturalmente di più documenti si disponeva e più velocemente era fatto il trasferimento delle somme di denaro in Cina, poiché con un solo documento si dovevano aspettare 8 giorni prima di poterne fare un altro. I documenti migliori erano quelli di persone che ancora non erano uscite dalla Cina, in modo tale da sfuggire ad eventuali verifiche.

La principale attività illegale delle aziende cinesi in Italia è consistita nella produzione di merce contraffatta (principalmente capi ed accessori di pelletteria) e nell’evasione fiscale. Vari interventi eseguiti durante le indagini hanno permesso, infatti, di confermare come molti soggetti che versavano denaro alle varie agenzie erano coinvolti in casi di contraffazione o risultavano aver dichiarato redditi irrisori. Un imprenditore, ad esempio, a fine 2008 è stato fermato in un controllo di routine svolto nei confronti del proprio autoveicolo. Nell’occasione si è constatato che il cittadino cinese trasportava, occultati in un borsone nel vano bagagli, € 548.000 tra contanti ed assegni. Il predetto imprenditore era diretto alla sub-agenzia di money transfer di Prato per inviare il denaro in Cina. Lo stesso dichiarava che il denaro costituiva il “nero” della sua società tessile, sita in Prato, di cui era amministratore. L’azienda, nello stesso anno, aveva presentato una dichiarazione ai fini delle Imposte dirette di solamente € 41.000, occultando, in questo modo, oltre il 93% dei ricavi conseguiti.

Le attività investigative hanno portato anche al complessivo sequestro di oltre 780.000 articoli contraffatti, mendaci o prodotti in violazioni di norme a tutela del Made in Italy ovvero della sicurezza dei prodotti, fabbricati nell’area fiorentino-pratese oppure ivi importati via nave dalla Cina. Nelle operazioni di riciclaggio sono risultati coinvolti anche importatori di prodotti contraffatti che hanno utilizzato la medesima metodologia per trasferire in Cina ricavi derivanti da reati di contrabbando.

Dalla Cina è giunta anche manodopera clandestina da sfruttare nelle aziende:

- giovani donne da impiegare nelle varie “case chiuse” camuffate da centri estetici e di massaggi orientali;

- uomini e donne da destinare ai laboratori ove lavoravano “in nero” in condizioni disumane.

Durante le indagini è emerso, infatti, che molti di tali clandestini erano al centro di una vera e propria tratta di essere umani con un’organizzazione che ha curato ogni movimento dal clandestino, dalla Cina sino in Italia. L’organizzazione, in questi casi, ha curato l’espatrio dei cittadini cinesi, a cui successivamente all’arrivo in Europa, sono stati sistematicamente ritirati i documenti. La sottrazione dei documenti pone il clandestino in una situazione di costante soggezione in quanto trapiantato, in condizioni di illegalità, in contesto socio-culturale del tutto diverso da quello di origine.

Una volta giunti a destinazione, i clandestini sono stati impiegati in condizioni di totale sfruttamento presso le aziende dei loro connazionali. Costretti a vivere sul posto di lavoro, in ambienti insalubri e sporchi, senza i più elementari accorgimenti inerenti la sicurezza sul posto di lavoro e protezione personale. Non infrequenti sono state le vessazioni, pestaggi e minacce di morte per coloro che non avendo saldato il debito con l’organizzazione per l’ingresso in Italia (che ammonta a circa € 13.000 a persona).

Altro canale per riciclare il denaro verso la Cina è risultato lo stato di San Marino. Sono stati accertati contatti di un cittadino cinese - Hu Shengwei - con una società finanziaria/fiduciaria - FININTERNATIONAL Spa - con sede centrale e legale in San Marino e sedi in Italia (Forlì, Bologna, Milano) ed Europa (Lugano, Montecarlo, Lussemburgo, Londra). La società, gestita da CARDELLI Luciano (61 anni nato a San Marino e residente a Rimini) e suo figlio Lorenzo (28 anni nato a Bologna e residente a Rimini), è stata utilizzata per l’invio in Cina del denaro che Hu Shengwei raccoglieva nella comunità cinese nella zona di Sesto Fiorentino. Lo stesso trasportava con la propria macchina, in ore notturne per ridurre i rischi di controlli da parte delle forze dell’ordine, il denaro presso la sede della società di San Marino. Ogni viaggio prevedeva il trasporto di capitali non inferiore ai 50.000 euro. Il compenso spettante a Hu era di 40 euro per ogni 10.000 euro trasportati. In un viaggio è stato accertato il trasporto di 200.000 euro in contanti, chiusi all’interno di una busta.

venerdì 19 marzo 2010

A morte il padrino di Chongqing
Dietro le sbarre Lady Mafia

Pena capitale per Wen Qiang, il boss di Chongqing è stato condannato a metà aprile. Stupro, corruzione e connivenza con la mafia cinese. Wen, 54 anni, ha incassato più di due milioni di dollari in tangenti, ha protetto le gang mafiose e ha violentato un numero imprecisato di starlette del cinema. Era il punto di riferimento della criminalità organizzata e con lui sono finiti alla sbarra oltre tremila persone, in una vasto giro di vite giudiziario che ha messo sotto shock l'intera Cina.


Wen - che è stato vice capo della polizia per 16 anni - possedeva numerosi appartamenti e ville, una scuderia di auto di lusso e un vero tesoro in oggetti d'antiquariato e opere d'arte del valore di centinaia di milioni di yuan.


Nei guai è finita anche sua moglie: Zhou Xiaoya, condannata a otto anni di galera, perché - sfruttando il potere del marito - intascava bustarelle.


In prigione pure la cognata di Wen: Xie Caiping, condannata a 18 anni perché gestiva bische clandestine e traffico di stupefacenti. La "madrina" o lady Mafia - così l'hanno battezzata i media cinesi - girava in lussuose Mercedes, dimorava in ville di lusso e aveva a disposizione un "harem" di 16 giovanotti pronti a soddisfare ogni suo capriccio sessuale.

venerdì 19 febbraio 2010

AMARCORD / Little Pete, il dandy
più spietato di Chinatown

“Ovunque andasse, Little Pete era accompagnato da un servo fidato che portava con sé uno scrigno pieno di preziosi e una scatola di articoli da toletta. Il boss della Tong più potente di San Francisco era un vero dandy, molto preoccupato del suo aspetto fisico. Cambiava gioielli più volte al giorno e non indossava mai lo stesso vestito due giorni di seguito. Ogni mattina passava due ore per pettinare, spazzolare e oliare la lunga coda di capelli che teneva sempre lucida. E di cui andava smodatamente orgoglioso”.


Così il giornalista Herbert Asbury descrive Fung Jing Toy, il boss della chinatown della San Francisco di fine ‘800 meglio conosciuto come “Little Pete”. I vezzi e la vanità dei capi della mafia cinese non sembrano quindi essere mai cambiati. Anche oggi, i boss del crimine asiatico amano sfoggiare abiti di lusso e viaggiare su auto scure da parecchie migliaia di euro. Per non parlare dei guardaspalle che si portano dietro: almeno un paio, per garantirsi placide sfilate per le strade delle decine di chinatown sparse per il globo. Anche Little Pete, fondatore della più spietata Tong (così si chiamano le Triadi nate in terra americana), si faceva accompagnare sempre da scagnozzi armati fino ai denti. Ma fu proprio a causa di una disattenzione su questo dettaglio (o forse per eccessiva spavalderia), che il gangster finì sotto il fuoco incrociato di un clan rivale.

Little Pete era stato molto abile a conquistare rapidamente il controllo di chinatown. Sfruttando il suo esercito personale di sgherri, quando non aveva nemmeno trent’anni controllava il traffico di prostituzione, il racket delle estorsioni, il gioco d’azzardo e il commercio dell’oppio nella città californiana. Ma era anche un negoziatore, come dimostra la presunta alleanza stretta con il potente Christopher Augustine Buckley, uomo d’affari e influente membro del Partito Democratico. La sera del 23 gennaio 1897, però, il “Re di Chinatown” commette un errore fatale. Durante una delle sue frequenti visite dal barbiere all’angolo tra Washington Street e Waverly Place, si porta dietro solo uno dei suoi soldati e, poco dopo essersi seduto sulla seggiola con un asciugamano caldo sul viso, lo manda a comprare un giornale .

A chinatown (foto di Arnold Genthe) un’occasione del genere non può passare inosservata. E quando due killer vedono la scena passano all’azione. Uno dei due rimane di guardia, fuori. L’altro entra con la pistola in mano, afferra Little Pete per la lunga coda e gli spara cinque colpi a distanza ravvicinata. L’impero del giovane Fung Jing Toy crolla a 33 anni. La guerra fra le bande della malavita cinese di San Francisco è appena iniziata.

mercoledì 13 gennaio 2010

I Boss di Chinatown a Rai Radio 3

È un mondo chiuso, quello di Chinatown. Quartieri che una volta erano come tutti gli altri e che a poco a poco hanno cambiato faccia. I negozi sono passati di mano, e adesso sfoggiano vetrine costellate di ideogrammi. I proprietari e i dipendenti sono tutti cinesi. La comunità è molto unita. L'obiettivo è la piena autosufficienza. In qualsiasi ambito: dalle merci ai servizi, dalle cure mediche ai divertimenti. Quello che è legale si fa alla luce del sole. Quello che non lo è, si fa di nascosto. E nemmeno poi troppo: nella Chinatown milanese di via Paolo Sarpi, la più famosa d'Italia, era spuntata addirittura una banca clandestina. Niente insegne, ma locali aperti sulla strada e una fitta clientela, prima che la polizia la chiudesse. Chinatown è un pezzetto di Cina trapiantato altrove. Una realtà per certi versi affascinante e per altri inquietante. Una realtà che continua a crescere e che ci invita - o ci sfida - a capirla.

"Rosso Scarlatto", il programma di approfondimento di Radio 3, ospita i "Boss di Chinatown - La Mafia Cinese in Italia". .
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