Mangiano e dormono nello stesso appartamento dove sono costrette a prostituirsi, così sono disponibili ventiquattro ore su ventiquattro per i clienti. Massima flessibilità e dedizione al lavoro. I ritmi sono quelli da schiavitù alla quale ci ha abituato la mafia d’Oriente. E così nei circa sessanta casini gestiti dai boss della chinatown di Barcellona, si applicano anche tariffe differenziate: se la ragazza dagli occhi a mandorla finisce tra le mani di uno spagnolo si pagano cinquanta euro; al connazionale, invece, si fa lo sconto.
La polizia catalana calcola che sono circa trecento le donne cinesi sfruttate a Barcellona. E secondo il quotidiano El Periodico, i locali a luci rosse gestiti dalla mala asiatica sono concentrati soprattutto nel quartiere dell’Eixample, per non parlare dei “centri massaggi” spesso inclini a prestazioni supplementari e alle case d’appuntamento riservate agli immigrati cinesi.
Un sistema difficile da smantellare perché le persone che mettono gli annunci per i clienti, quelle che affittano i locali e le “madame” che mandano avanti i bordelli non sono mai le stesse persone. Ma quello che inquieta di più gli investigatori è che dietro alla prostituzione c’è un’organizzazione ben strutturata. Che, ovviamente, non si limita al giro di squillo.
Le forze dell’ordine hanno individuato tre grandi famiglie che operano anche nel campo delle estorsioni, della contraffazione e dell’usura. Ma, soprattutto, nel traffico di essere umani. Migliaia di euro pagati ai clan per arrivare in Spagna e poi, una volta giunti a destinazione, trovare un lavoro. Una rete illegale che spesso nasconde scenari da riduzione in schiavitù che in qualche caso ha coinvolto anche cittadini spagnoli. Come nel caso di un imprenditore di Girona che ha impiegato uomini e donne cinesi nella sua azienda per più di due mesi. La paga? Quaranta euro per dodici ore di lavoro al giorno.