mercoledì 25 febbraio 2009

Il testimone

Come avevamo intuito (ma ci voleva poco), l’assassino di Hu Libin avvenuto il 24 febbraio nella discoteca Parenthesis di Milano con furibondo roteare di mannaie, è legato alla guerra tra bande cinesi che si sta consumando nel capoluogo lombardo. La vittima dell’assalto era infatti un elemento di rilievo della gang “Yu Hu”, ovvero il gruppo delle “cinture rosse”, in lotta da anni con i rivali di “Daxue” e le cui “gesta” sono raccontate in I Boss di Chinatown.

Omicidi, accoltellamenti e intimidazioni fanno parte del codice d’onore di questi giovani gangster, spesso storditi e allucinati dalla ketamina, una droga che consumano e spacciano. E forse proprio il traffico di stupefacenti potrebbe essere il motivo dell’ultimo scontro. Ma non è escluso che si sia trattato di una vendetta. D’altra parte per Hu Libin non era la prima volta che si ritrovava nel mezzo di una rissa degna di un film di Quentin Tarantino: nel 2003 aveva assistito all’accoltellamento di un compare della stessa banda, poi finito ammazzato a pistolettate nel 2007. E anche quella volta Hu c’era.

martedì 24 febbraio 2009

La legge delle cinture rosse

Milano, discoteca Parenthesis, 24 febbraio 2009. All’interno una festa di compleanno. Una cinquantina di ragazzi, tutti cinesi. All’1 e 30 nessuno fa caso che dieci giovanotti con gli occhi a mandorla sono entrati una alla volta. All’improvviso s’infilano i cappucci, tirano fuori mannaie e pugnali e si lanciano urlando verso un gruppo di connazionali.
Come delle furie sferrano fendenti alla testa, al tronco e alle gambe. Hu Libin, di 22 anni, muore in un lago di sangue. Altri cinque rimangono feriti con profondi squarci su tutto il corpo.

E’ la legge dei gangster in erba di Chinatown. All’estero, come in Italia, bande di ventenni regolano a colpi di lama (o a suon di proiettili) i loro affari: estorsioni, droga, controllo del territorio. Spesso sono la manodopera utilizzata dai boss per esercitare il loro potere intimidatorio. Si tratta di gang composte da giovanissimi, spesso minori di 18 anni. Ogni affiliato alla banda ha legami di origine geografica, cioè dalla città di nascita, con gli altri componenti. E ciascun gruppo quasi sempre ha un segno distintivo: un tatuaggio, un ciuffo dei capelli colorato o una cintura rossa. Un’identità interna molto forte che conduce a faide e scontri violenti.

Ma non è soltanto una questione tra ragazzini: «A capo di ciascun gruppo – fa sapere la Direzione nazionale antimafia – vi è un adulto, che coordina la loro azione e che tiene i collegamenti con bande di altre regioni». E «nei momenti di crisi di una gang (per esempio a seguito di arresti) confluiscono in ausilio elementi di altri gruppi provenienti da altre città. I collegamenti sul territorio nazionale sono dunque molto forti – spiega ancora la relazione della Dna – e questo, unitamente al fatto che sono bande che si spostano continuamente e anche i singoli componenti non hanno fissa dimora pur risiedendo presso i genitori, e che sono soliti scambiarsi telefoni cellulari e schede, rende le indagini estremamente problematiche».


Il volo di Re Anatra


Anche la mafia cinese ha i suoi padrini. Uomini d’onore che per fama, potere e crudeltà nulla hanno da invidiare a Totò Riina e Bernardo Provenzano. Anzi. Seduti ai vertici di organizzazioni criminali che attraversano gli oceani, i boss delle Triadi possono vantare legami preferenziali con la politica e i servizi segreti, nonché contare su sterminate folle di fedelissimi seguaci. Non si spiegherebbe altrimenti come mai circa tremila persone il 7 novembre del 2007 sono accorse a Taipei per rendere l’ultimo omaggio a Chen Chi-Li, numero uno della Bamboo United, la setta mafiosa più potente di Taiwan.

Così come al funerale del mafioso italo-americano John Gotti le strade di New York s’affollarano per il baciamano del trapasso, allo stesso modo la capitale della Repubblica cinese s’è riempita di devoti ammiratori di colui il quale in vita era riverito come “Re Anatra”. Un appellativo che non deve intenerire: Chen Chi-Li non solo è stato il capo di una delle più potenti Triadi internazionali per quasi quarant’anni, ma è stato additato come l’indizio più evidente del connubio tra la mafia asiatica e il Kuomintang, il partito nazionalista che governa in maniera dittatoriale Taiwan.

L’ingresso di Re Anatra nelle fila del gangsterismo inizia presto. A quattordici anni Chen Chi-Li entra in una banda ma questo non gli impedisce di studiare e di laurearsi in ingegneria. La sua vita scorre su binari paralleli: ai vertici della malavita e nei posti di comando della società legale. Serve l’esercito come tenente, poi nell’aprile del 1968 assume il comando della gang più potente di Taiwan, quindi fonda la Cheng Enterprise. In appena tre anni accumula denari su denari e allarga il suo business all’acciaio, locali notturni, editoria ed edilizia.

Re Anatra è un signore di successo ma sarebbe rimasto soltanto un temibile e rispettato uomo d’onore d'Oriente se non si fosse occupato di Henry Liu. Chi è Liu? È un giornalista e scrittore cinese con cittadinanza americana che ha pubblicato una biografia critica sul conto di Chiang Ching-Kuo, il presidente di Taiwan. Il 14 agosto 1984 il reporter viene trovato morto ammazzato nella sua casa in California e Chen Chi-Li presto finisce nell’elenco dei sospettati. Il gangster confermerà durante il processo il suo coinvolgimento nell’omicidio, spiegando che proprio il governo di Taipei gli avrebbe offerto 20.000 dollari per far fuori Henry Liu ma che lui avrebbe rifiutato per il suo amor patrio. Uccidere il giornalista dissidente, infatti, sarebbe stata una ricompensa gratificante per mettere a tacere una spia.

Re Anatra racconta che Henry Liu era un agente al soldo di Pechino, ovvero della Cina Popolare che da sempre tenta di ostacolare l’indipendenza taiwanese. Il boss aggiunge che un vice-ammiraglio e il capo della marina di Taiwan gli avevano chiesto di assassinare Herny Liu in quanto non più affidabile: il giornalista sarebbe stato un loro agente che faceva il doppio gioco per conto dei comunisti cinesi.

Difficile dire quanto siano veritiere le parole del padrino della Bamboo United. Quel che è certo è che Chen Chi-Li viene condannato e rimesso in libertà dopo pochi anni. In patria viene osannato come un eroe nazionale ma dopo un po’ decide di andare a vivere in Cambogia, dove abita in una villa di quasi tremila metri quadrati con un giardino in cui sono parcheggiati alcuni cannoni che dice di tenere per difesa personale.

Durante gli anni ’90 dichiara di voler trasformare la sua organizzazione in un’impresa legale e così si attira l’ammirazione del gotha politico di Taiwan, che non manca di onorare le esequie di Re Anatra. Fra i tremila partecipanti ai funerali si scorgono alcuni tra i leader dei partiti di governo e opposizione di Taiwan. Gli occhiali scuri non li difendono dagli obiettivi dei fotografi, mentre la polizia tra la folla individua una dozzina di ragazzotti appesantiti da pistole e lunghi coltelli.