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domenica 26 ottobre 2008
Un bidone dagli occhi a mandorla
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sabato 4 ottobre 2008
Gli amici degli amici
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Ogni chinatown pullula di associazioni. Sono delle specie di circoli, che mettono insieme cinesi espatriati e provenienti dalla stessa regione o città. Tra gli scopi di questi club c’è quello di tutelare i compaesani anche nei confronti delle autorità diplomatiche cinesi. Ma anche, come si legge nelle relazioni della procura antimafia, «migliorare i rapporti con le autorità del paese ospitante». Queste specie di sindacati, inoltre, assicurano autonomia culturale alla comunità e permettono di «esercitare un rigido controllo sulla vita economica e sociale». E consentono «di acquisire le attività economiche dei quartieri e di espellere i residenti fino alla costituzione di vere e proprie enclave». E poiché nel tempo alcune di queste lobby si sono rivelate piuttosto efficaci nel tessere rapporti sia con le istituzioni italiane che con quelle di Pechino, sono state più volte oggetto dell’attenzione dei gruppi mafiosi. D'altra parte, uno degli interessi dei boss di chinatown è quello di stringere interessi con le autorità politiche. E non solo quelle diplomatiche, anche con quelle italiane. E' questa, in fondo, una delle strategie delle organizzazioni criminali più evolute. Come Cosa Nostra, anche la mafia cinese cerca di ottenere vantaggi (e restituire favori) a chi detiene il potere. Avere solidi legami con chi siede sulle poltrone giuste e frequenta la stanza dei bottoni è motivo di vanto ed esibizione di forza. Qualche anno fa, durante un controllo all'aeroporto di Roma, un cinese di rispetto venne fermato dalla polizia prima che prendesse il volo per l'Oriente. Addosso gli venne trovata una fotografia che lo ritraeva nel suo ristorante al fianco dell'allora presidente del Consiglio italiano. Alla domanda degli investigatori sul perché portasse quella foto in Cina, rispose: "Così potrà far vedere quanto sono diventato importante". Quando, infatti, tornano nel loro paese, i vari rappresentanti delle associazioni di cinesi all'estero si riuniscono in una sorte di conclave. Una specie di parlamento delle Chinatown disseminate nei cinque continenti che, poi, delibera decisioni e rivendicazioni da portare sul tavolo del governo di Pechino, che è piuttosto sensibile alle richieste dei figli espatriati. Una prova? Quando nella primavera del 2007 scoppiò la rivolta cinese a Milano, il console generale prese una chiara posizione a difesa dei suoi connazionali. E analoga posizione la prese il ministero degli Esteri cinese, che chiese all'Italia «equilibrio» nel risolvere i problemi, affinché fossero tutelate «le esigenze ragionevoli dei cinesi residenti all’estero» e assicurata «la piena salvaguardia dei loro diritti».
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